Silvia Beatriz Potenza

Intervista a – Silvia Beatriz Potenza
Scritta da Elena Basso

Nel 2017 in una fossa comune a Misiones, in Paraguay, sono stati trovati due corpi. Non si sapeva di chi fossero ma in un altro Paese, in Argentina, due famiglie li stavano cercando da oltre 40 anni. I due corpi erano dei militanti italoargentini Raffaela Filipazzi e José Agustin Potenza, sequestrati e scomparsi a Montevideo, in Uruguay, il 25 giugno del 1977. Erano alloggiati all’hotel Ermitage e furono arrestati durante un’operazione congiunta delle forze uruguaiane e paraguaiane. Di entrambi non si seppe più nulla per moltissimi anni. Oggi le autorità italiane stanno indagando il caso di Filipazzi e Potenza e sospettano il coinvolgimento di Jorge Nestor Troccoli, l’ex militare italouruguaiano che vive in Italia dal 2007. 

 

Ex capo dei servizi segreti della Marina uruguaiana, ha 73 anni e oggi vive a Battipaglia. È accusato del sequestro e sparizione di decine di oppositori politici e di essere stato uno dei vertici dell’Operazione Condor. Per un errore del Consolato uruguaiano nel 2008 la richiesta di estradizione non è stata accettata dall’Italia e Troccoli non è mai stato processato in Uruguay. Nel 2019 è stato condannato all’ergastolo in secondo grado per omicidio pluriaggravato nell’ambito del maxi-processo Condor, conclusosi a Roma nel luglio del 2019. La figlia di Agustin, Silvia Beatriz Potenza, oggi ha 67 anni e continua a chiedere giustizia per il padre. 

 

Quando è cominciata la militanza di tuo padre?

Nel 1965 in Argentina c’è stato un tentativo di colpo di Stato. A Buenos Aires, nella piazza dove si trova il palazzo governativo, hanno fatto esplodere delle bombe. Mio padre Agustin quell’anno si è avvicinato ai peronisti. Erano giovani che chiedevano più giustizia, più democrazia. Da quel momento il nome di mio padre è cominciato a essere presente nei registri della polizia argentina come “buscado” (ricercato) in quanto militante politico. Mio padre aveva una vita normale, era sposato e aveva quattro figli. Ha lavorato in diversi posti: in banca, in un negozio di scarpe. Ed è sempre stato un musicista. 

 

Che cosa è successo il con il golpe del 24 marzo?

Il 24 marzo del 1976 Videla ha preso il potere e in Argentina è iniziata la dittatura civico-militare. Le persone attive politicamente, come mio padre, sapevano da tempo che stava per esserci un golpe. E così un mese prima, nel febbraio del ’76, lui e la sua compagna Giuliana ci hanno avvertito che sarebbero partiti per il Paraguay. Questa è stata l’ultima informazione certa che abbiamo ricevuto da mio padre. In seguito abbiamo scoperto che sono stati sequestrati in Uruguay dagli uomini del FUSNA che li hanno portati in Paraguay, dove li hanno torturati e assassinati. Abbiamo trovato i loro resti solo 40 anni dopo. 

 

Per te è stato importante ritrovare il corpo di tuo padre?

È una storia che non si può chiudere se non hai i resti del tuo familiare desaparecido, è come se ci fosse qualcosa in sospeso. Ci sono voluti tantissimi anni per ricercare mio padre. E ora basta, ho bisogno di andare avanti. Gli ultimi quattro anni sono stati terribili. L’ho cercato e l’ho ritrovato. Sono partita per recuperare il corpo e hanno iniziato a chiamarmi moltissime persone: il congresso, il sindacato, le associazioni e i giornalisti. Arriva un momento in cui hai bisogno di risvegliarsi da tutto questo. 

 

È importante che Troccoli venga processato? 

Sì, voglio un processo contro Troccoli. Voglio che lo condannino. Non posso accettare che passi i suoi ultimi giorni in libertà come un povero nonnino. 

 

È importante continuare a chiedere verità e giustizia?
Sì, nessuno dovrebbe accontentarsi. Devi continuare a chiedere fino all’ultimo momento, perché l’impunità permette che questo tipo di delitti si ripetano. I desaparecidos avevano uno stigma: erano ritenuti colpevoli. Ancora oggi in Argentina, dopo decine di processi, moltissime persone continuano a pensare che per essere stati sequestrati, torturati e uccisi “qualcosa avranno fatto”. Anche per questo è importante continuare: più persone reclamano per avere giustizia, più si saprà di cosa è accaduto davvero a questo persone. È fondamentale per la memoria, per raccontare la verità.