Enrique Breccia

Intervista a – Enrique Breccia
Scritta da Elena Basso, video di Marco Mastrandrea

Esiste un fumetto sulla vita di Che Guevara che è leggendario. Lo hanno scritto e disegnato i maestri del fumetto argentino e quando è stato pubblicato i militari lo hanno messo al bando e bruciato. Nonostante questo il fumetto è sopravvissuto e continua, ancora oggi, ad essere pubblicato e venduto in decine di Paesi di tutto il mondo. Stiamo parlando di “Che, una vita in rivolta” scritto da Hector Oesterheld e disegnato da Alberto ed Enrique Breccia. 

 

Tre maestri della leggendaria scuola argentina del fumetto hanno saputo dare vita alla storia di uno dei personaggi più iconici della storia: il Che. Hector Oesterheld è stato uno dei più importanti sceneggiatori argentini e nel 1969, insieme ad Alberto Breccia, ha pubblicato “L’Eternauta”, il famoso fumetto di fantascienza che ha saputo anticipare il golpe di Jorge Rafael Videla del 1976. Oesterheld nel 1977 è stato sequestrato dai militari di Videla e da allora è desaparecido, vittima della dittatura insieme alle sue quattro figlie. Enrique Breccia da molti anni vive in Italia: oggi nel suo studio romano ci racconta la nascita del leggendario fumetto del Che e la sua esperienza durante i feroci anni della dittatura argentina.

Com’è nato il fumetto “Che, una vita in rivolta”?
Un mese prima della morte del Che L’editore argentino Jorgé Alvarez ha deciso di realizzare una collana sui personaggi politici più famosi del Latino America. Quando si è saputo che era morto il Che si è deciso che il primo fumetto della collana sarebbe stato dedicato a lui e, a quel punto, l’editore ha incaricato Hector Oesterheld di scrivere la sceneggiatura e me e mio padre Alberto per i disegni. Oesterheld ha scritto due sceneggiature separate: una dalla nascita fino alla missione in Congo per mio padre e un’altra, dal Congo alla morte in Bolivia, per me. 


In quanto tempo lo avete realizzato? 

Il tempo era veramente pochissimo perché l’editore voleva che il fumetto fosse pubblicato immediatamente dopo la sua morte, cosa che effettivamente è avvenuta. A fine ottobre Oesterheld mi ha consegnato la sceneggiatura, il Che è stato ucciso il 9 ottobre. Ho cominciato subito a disegnare e ho finito a fine dicembre. A gennaio il fumetto è stato pubblicato. Quindi il fumetto è stato pensato, scritto, disegnato, editato e pubblicato in tre mesi: un tempo record. Oesterheld aveva l’abitudine di scrivere la sceneggiatura a mano su fogli di quaderno, su mia richiesta non ha specificato la sua visione grafica delle scene: mi ha consegnato i dialoghi e il resto l’ho immaginato. Volevo riuscire a raccontare gli ultimi giorni della vita di un uomo che si è sacrificato consapevolmente, che sapeva perfettamente che quel tentativo armato sarebbe fallito.

Cosa è successo quando il fumetto è stato pubblicato?
È stato pubblicato a gennaio del 1968 e si è venduto molto bene e molto rapidamente. Non era nemmeno un libro, era una rivista senza la copertina rigida. Il governo militare di Juan Carlos Onganía, allora a capo del Paese, lo ha sequestrato decidendo direttamente di bruciare tutte le copie in circolazione per distruggerlo. Da quel momento su questo libro si sono dette molte cose, quasi tutte sciocchezze e bugie. In nessun momento né io, né mio padre, né Oesterheld siamo stati minacciati in quanto autori del fumetto. Mio padre non ha mai sotterrato nel giardino di casa delle copie: sarebbe stato assurdo dato che i militari avevano sequestrato gli originali decidere di sotterrarli a casa propria. Poi è stato pubblicato diversi anni dopo in Spagna e ha continuato a essere pubblicato in moltissimi altri Paesi negli anni successivi. Si è trasformato in una specie di classico, un libro iconico. Sinceramente non so perché sia successo, non lo so spiegare.

Chi era per te Hector Oesterheld?
Oesterheld era uno sceneggiatore di fumetti, ma questa definizione minimizza la sua figura: in realtà era uno straordinario scrittore ed era un uomo di enorme cultura. Ha creato personaggi iconici. Noi due parlavamo sempre di politica anche se eravamo di idee diverse. Avevamo delle discussioni, ma sempre amichevoli. Era un uomo brillante che ha lasciato in me un ricordo indelebile.

Cosa ha significato vivere sotto la dittatura di Videla?
Sono stati anni difficili che dopo sono diventati ancora più complicati. Io ho cominciato a militare nel movimento peronista quando avevo 17 anni, prima nella parte sindacale e dopo nella Gioventù peronista che non era allineata con i Montoneros. Poi è arrivato il golpe e lo spazio politico dove militavo ha deciso di non aderire alla lotta armata perché non credevamo che fosse quella la via per combattere i militari. È stata un’epoca veramente difficile per vivere, per lavorare, per crescere figli. È stato davvero terribile.