Il golpe argentino

Intervista a – Camillo Robertini
Scritta da Elena Basso, video realizzato da Marco Mastrandrea

Camillo Robertini ha 33 anni ed è uno storico. Attualmente è ricercatore presso l’Institudo de Estudios Internacionales dell’Università del Cile. Laureato presso le Università di Venezia Ca’ Foscari e Perugia è dottore di ricerca in Storia presso le università di Firenze e Siena. Si occupa di storia orale e storia del lavoro con particolare interesse per la presenza della casa automobilistica Fiat in America Latina negli anni ‘70. È autore del libro “Quando la Fiat parlava argentino: una fabbrica italiana e i suoi operai nella Buenos Aires dei militari”, edito da Le Monnier, con cui ricostruisce le storie degli operai della Fiat durante gli anni della dittatura. 

 

Che cosa è successo in Argentina il 24 marzo del 1976?
E’ avvenuto l’ultimo golpe della storia argentina: il 24 marzo del ’76 i capi delle forze armate; della Marina, Esercito e Aviazione, deposero la presidente costituzionale Isabel Martínez de Perón, sposa di Juan Doming Perón, eletta insieme a suo marito nel ’73 e diventata presidente in seguito alla morte dello sposo nel luglio del ’74. Il colpo di Stato del 24 marzo è stato l’ultimo di una lunga serie di golpe che sconvolsero la vita pubblica del Paese dal 1930 in avanti. Davanti agli squilibri e cambi radicali a livello mondiale e con un Paese che stava progressivamente perdendo l’egemonia in America Latina, le forze armate si presentavano di volta in volta come attori politici capaci di restituire l’ordine. Negli anni immediatamente precedenti al colpo di Stato l’Argentina stava vivendo una crisi economica profonda, toccando il 444% d’inflazione nel ’76 e un carovita del 185% . In quel contesto il 24 marzo del 1976 le forze armate si ripresentarono come un attore politico riconosciuto dalla popolazione per ristabilire l’ordine. 

 

La differenza con la dittatura di Pinochet si è notata sin dal primo momento. Il golpe del 24 marzo è avvenuto di notte senza spargimenti di sangue: un colpo di Stato silenzioso e ben organizzato. Alle due del mattino mentre Isabel Perón si stava trasferendo dalla Casa de Gobierno a quella Presidenziale ha scoperto di essere in arresto durante il suo viaggio in elicottero e nello stesso momento le forze armate occuparono i punti nevralgici delle grandi città del Paese. La mattina la radio trasmise i proclami della dittatura e così iniziò tutto. Il golpe cileno aveva destato enormi proteste, con le immagini della Moneda fumante che fecero il giro del mondo, quello argentino invece cadde nel silenzio, liquidato dalla stampa di molti Paesi come un fatto inevitabile.

In questo contesto i militari che presero il potere lanciarono un ambizioso programma di riforme del Paese il cui obiettivo era la rifondazione del patto sociale, che definirono “Processo di riorganizzazione nazionale”. Questa trasformazione venne condotta su due binari: l’uso indiscriminato del terrore e l’applicazione di un nuovo paradigma economico di stampo neoliberista. Uno degli aspetti più inquietanti del funzionamento della dittatura era che da un lato essa manteneva una facciata burocratico-legale: pur essendo stati disciolti il parlamento, i sindacati e i partiti politici, funzionava una Giunta militare e i tribunali superiori che emanavano leggi e decreti dando l’impressione di una sostanziale continuità istituzionale. Allo stesso tempo però la dittatura faceva uso a piene mani del terrore clandestino. Il regime si presentava come una dittatura moderata, Videla si costruì l’immagine di uno zelante cattolico arrivato alla presidenza per ristabilire l’ordine della “nazione cattolica”, ma nel frattempo gli squadroni della morte agivano facendo scomparire ogni notte migliaia di oppositori. 

 

Cosa succedeva alle persone che venivano fatte sparire?
Dal 1974 organizzazioni di stampo rivoluzionario, come i Montoneros (peronisti di sinistra) o l’Esercito Rivoluzionario del Popolo (guevaristi), realizzarono decine di attentati e fuochi guerriglieri in tutto il Paese. Lo Stato argentino – già sotto il governo di Perón – rispose all’avanzata guerrigliera con la repressione. Dopo il golpe si organizzarono i centri clandestini sparsi per tutto il Paese in cui venivano rinchiusi guerriglieri, attivisti politici, persone comuni, simpatizzanti dell’opposizione, docenti universitari. Chiunque, nella logica della Guerra Fredda, potesse rappresentare un “nemico interno” dello Stato e per la “sicurezza nazionale”, andava eliminato. I centri clandestini di detenzione e tortura arrivarono a essere 610 in Argentina. All’interno i detenuti erano torturati con tecniche estremamente crudeli, fra cui la picana: elettrodi collegati a un automobile o a un motore e posti sui genitali dei torturati. I centri clandestini furono dei veri e propri dei buchi neri della dittatura argentina: fuori dal controllo delle istituzioni formali, spesso dipendevano dalla fazione militare che li gestiva e in quel modo era difficile capire chi fosse detenuto illegalmente ai militari stessi.

Se l’Estadio Nacional a Santiago del Cile è stato visitato sin dai primi giorni dopo il golpe, in Argentina si negherà per molti anni l’esistenza stessa dei centri di tortura clandestini. I più conosciuti furono l’Esma (Escuela de Mecanica de la Armada) e l’Olimpo, entrambi a Buenos Aires. Solo in pochi casi i centri sorsero in strutture costruite appositamente, la maggior parte erano adibiti all’interno di commissariati di polizia, caserme o in spazi privati come nel caso della Ford Company in cui i capannoni della fabbrica furono utilizzati come centri di detenzione clandestini per gli stessi operai.

 

Che cos’è il Nunca más

Nel 1982 in Argentina iniziò una profonda crisi economica causata dall’applicazione rigorosissima dei dettami economi neoliberisti e si organizzarono i primi scioperi generali contro la dittatura. Per distrarre l’opinione pubblica da quella crisi e ritrovare un’unità nazionale, i militari decisero di lanciarsi nell’impresa di una guerra: nell’aprile del 1982 le forze armate argentine invadere le isole Falkland-Malvinas, occupate dall’Inghilterra dal 1833, e poche settimane dopo vennero sconfitti da una task-force inviata da Margaret Thatcher. Cadde la dittatura argentina e nel 1983 venne eletto il radicale Raúl Alfonsín come nuovo presidente. Alfonsín nel 1984 incaricò una commissione – la Conadep (Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas) presieduta dal famoso scrittore Ernesto Sabato, per indagare sulle violazioni dei diritti umani compiuti dalla dittatura civico-militare. E così, solo due anni dopo la fine del regime, si indagò sui crimini commessi. Quella della Conadep è stata un’operazione complessa per vari motivi, fra cui il fatto che non ci fossero archivi militari che potessero documentare le atrocità commesse e l’unico modo per indagare era cercare e intervistare i sopravvissuti ai centri di tortura e i familiari delle vittime. A quei tempi c’era il forte timore che i militari potessero tornare al potere e le persone avevano paura a testimoniare, soprattutto perché dopo solo due anni da crimini commessi dallo Stato era lo stesso Stato a chiamarli per raccontare i fatti.

 

Dopo un lungo lavoro venne redatta una relazione con cui si accertarono oltre 8800 casi di violazioni dei diritti umani. Nel prologo Ernesto Sabato spiega che la parola desaparecido si iniziò ad utilizzare quando si scoprirono le sistematiche sparizioni forzate in Argentina: questa locuzione nella lingua spagnola sarà riconosciuta internazionalmente come un triste primato del Paese. La relazione venne consegnata al presidente Alfonsín e un riassunto fu pubblicato con il nome di Nunca Más. Il libro ebbe una grandissima fortuna editoriale con oltre 700mila copie vendute e fu tradotto in tutte lingue del mondo. È diventato il simbolo di uno Stato che dopo soli due anni dalla caduta di un regime ha la forza per denunciare le atrocità commesse e rappresenta internazionalmente il modello sul come procedere con una commissione per scavare in un passato dittatoriale. Inoltre il Nunca Más fu la base documentale per poter istruire il famoso processo alla Giunta contro i capi delle forze armate e i membri della giunta militare che si sono susseguiti fra il ’76 e l’83.

Qual è la storia giuridica dei processi contro i crimini commessi durante la dittatura argentina? 

Il processo alla Giunta è entrato nella storia mondiale perché vede condannati gli uomini che si trovavano al vertice della dittatura dopo soli due anni dalla fine del regime. Un fatto più unico che raro. Dopo questo giudizio però la situazione peggiorò e Alfonsín lasciò la presidenza in anticipo per la crisi economica. Gli successe Carlos Menen, storico leader peronista conservatore, che stabilì le cosiddette “leggi dell’impunità”, la Ley de obedencia debida e la Ley de punto final, con le quali erano amnistiati sia i militari che i guerriglieri per i delitti commessi durante la dittatura. Dall’’87 in poi l’Argentina ha posto una pietra tombale sul suo passato recente, fino a quando nel 2004 è stato eletto Nestór Kirchner, peronista di sinistra, e accaddero alcuni fatti straordinari. Kirchner consegnò l’Esma, simbolo della repressione clandestina della dittatura, alle associazioni per i diritti umani e venne trasformato in uno spazio per la memoria. Inoltre la Corte suprema dichiarò non valide le leggi dell’impunità e ripresero i processi. Dal 2006 iniziarono una serie di processi sulle responsabilità dei militari e dei civili con la dittatura. Fino a oggi ci sono state ben 254 sentenze e 1025 soldati condannati. L’Argentina è il Paese che più di tutti ha giudicato i responsabili delle violazioni dei diritti umani degli anni ’70: non c’è confronto che regga con l’Uruguay, il Brasile e men che meno con il Cile. Ovviamente anche in questo caso c’è una certa distanza fra la battaglia politica di aver condannato questi uomini e lo scontro con la realtà. Molti sono ai domiciliari e quelli incarcerati sono nella prigione di Ezeiza, che ho avuto modo di visitare, e dove possono condurre una vita molto più che dignitosa.

Chi sono e come nascono le Madres de Plaza de Mayo?

Chi era sequestrato in Argentina semplicemente spariva dal momento dell’arresto. I militanti erano prelevati con brutalità dai militari e risucchiati in quei buchi neri che erano i centri clandestini. Di loro era impossibile sapere qualcosa. Come ha dichiarato lo stesso Videla durante una famosa intervista rilasciata nel 1978: “Il desaparecido è un’incognita, è un desaparecido; né morto né vivo è desaparecido”. In questo contesto nel 1977 a Plaza de Mayo, dove ha sede il palazzo governativo, un gruppo di madri di militanti politici scomparsi ha iniziato a fare una ronda attorno a un obelisco. Decisione obbligata dato che durante il regime era vietato svolgere riunioni in pubblico con più di tre persone. Girando intorno al monumento non violavano la legge. Questo coraggioso gruppo di madri cominciò a scendere in piazza chiedendo dove fossero i loro figli scomparsi  sfidando la dittatura e, negli anni, sono diventate un simbolo mondiale di lotta e ancora oggi marciano in Plaza de Mayo ogni giovedì. 

Chi sono e come nascono le Abuelas de Plaza de Mayo?

Le Madres continuarono a riunirsi e fare le ronde e alcune di loro, confrontandosi, scoprirono che in molti casi la figlia o la nuora scomparsa erano incinta al momento del sequestro e la famiglia non aveva più avuto notizie di quei bambini. Scoprirono così uno degli aspetti più sinistri della dittatura argentina: la sistematica sparizione dei neonati. Le militanti politiche incinte erano sequestrate, torturate, mantenuta in vita fino al momento del parto – che avveniva nei centri clandestini – e  a volte uccise. Si calcola che furono almeno 500 i bambini sottratti e poi affidati ai militari o a famiglie vicine alla dittatura. Così le nonne di questi neonati scomparsi si riunirono e fondarono le Abuelas de Plaza de Mayo. Da oltre 40 anni ricercano questi bambini.

Dal 1983 in poi le Abuelas, anche grazie al lavoro delle squadre di antropologia forense dell’Università di Buenos Aires, organizzarono una banca dati del Dna all’avanguardia e campagne mediatiche massive rivolgendosi direttamente ai potenziali nipoti scomparsi e invitandoli a contattare le Abuelas per scoprire la loro vera identità. E così è nata questa lotta incredibile che ha portato negli anni molte persone a scoprire che i propri genitori adottivi erano militari vincolati alla gerarchia militare e che erano stati sottratti alla loro vera famiglia. In questo contesto le associazioni per i diritti umani hanno rappresentato la faccia migliore di quell’Argentina che ha sofferto le peggiori privazioni e torture durante la dittatura.

Qual è il vero numero dei desaparecidos in Argentina? 

Si è stimato che siano oltre 30mila, un numero molto più alto rispetto agli 8900 casi accertati del Nunca Más. La triste contabilità del numero dei desaparecidos si presta ancora a interpretazioni e vivissime polemiche nell’Argentina d’oggi. Ad ogni buon conto quello che possiamo dire è che moltissime famiglie a più di quarant’anni da quei fatti non hanno mai denunciato la scomparsa per paura o per vergogna. Nella mia esperienza di ricercatore posso dire che è molto probabile che la cifra di desaparecidos sia molto più alta di 30mila casi. Più si studia e più aumentano. È una vicenda complessa e ancora aperta che anima nell’Argentina d’oggi un dibattito vivo circa quella dolorosa pagina di storia sulla quale pare che gli argentini non siano più disposti a far calare il silenzio.